La filosofia dei salmoni

Intervista a Elena Panzera 

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    In questa breve intervista, scopriamo "I salmoni aspettano agosto", romanzo d'esordio dell'autrice viareggina Elena Panzera, edito da Giulio Perrone Editore. 

    Al centro della narrazione, la lettera del ventenne Michele a sua sorella gemella, Francesca. Studenti di pianoforte al conservatorio, i due condividono un linguaggio speciale e segreto, quello della musica. Protagonista indiscusso è inoltre il sentimento viscerale che accomuna i due fratelli così come la storia della loro famiglia che Michele ripercorre meticolosamente. 

    Co-protagonista della storia è poi la città di Viareggio e, in particolare, la strage ferroviaria del 29 giugno 2009 che portò alla morte di trentadue persone. 

    Qualche domanda ad Elena: 

     

    Quale è la filosofia dei salmoni? 

    La vita dei salmoni è un cerchio. Crescono preparandosi a discendere il fiume a cui intendono tornare. Quando ripartono, gli tocca lottare, tirare fuori una specie di zanne, smettere di mangiare per saltare oltre le cascate, affrontare orsi, uomini, imprevisti; tutto questo per tornare al punto di partenza. Ma il punto di partenza è la loro identità: lì sono nati, lì depositeranno le loro uova e poco dopo moriranno. Anche Michele vuole risalire il fiume della sua storia familiare e ci si prepara per tutta la vita attraverso l'esercizio di una memoria volontaria (ossia cercando indizi) e attraverso l'attesa e la lentezza, che sono i modi in cui cerca la strada e guarda alle cose e alle persone che ha intorno. Porta il nome di uno zio di cui non sa quasi nulla, eppure nel nome c'è qualcosa di ineluttabile, c'è un destino, e lui sa che per compierlo, e quindi ricongiungersi pienamente alla sua identità, deve fare questo viaggio a ritroso nella memoria della sua famiglia.

     

    Sarebbe facile ipotizzare che il protagonista sia autistico. Nel romanzo però questa informazione non è menzionata. Perché?

    L'intero romanzo si gioca sul concetto di limite e di norma. Non c'è un limite chiaro tra l'identità di Michele e quella di Francesca, tra gli amori dell'uno e dell'altra, tra i loro corpi. Non c'è un parola con cui definire precisamente il loro rapporto. Le persone che hanno intorno si sforzano per tutto il tempo di tracciare questo limite, ma si infrangono contro il fatto che questo limite si sposta continuamente: un rapporto d'amore è qualcosa che sfugge e che cambia, non si lascia ingabbiare, non esiste una parola per dirlo. La norma è sociale, l'amore non è sociale, almeno non alla nascita. Lo stesso vale per la stranezza di Michele: darle un nome clinico servirebbe solo a definirne le caratteristiche e a escludere delle possibilità, che magari sono comunque escluse, ma il punto è che non è sulle mancanze che volevo che lo sguardo si posasse, perché il libro è scritto dal punto di vista di Michele e ciò che Michele percepisce, più di tutto, è l'immagine di stranezza che gli restituiscono gli altri. Ha un linguaggio che funziona, quello della musica. È l'unico capace di chiamare le cose per nome, quindi, se parla, è comunque puntuale. La fretta degli altri e il desiderio di coprire il proprio rumore interno, tuttavia, li spingono a vedere in lui le anomalie - i tic, il suo essere antisociale - anziché l'esattezza dell'espressione emotiva. Dire che era autistico sarebbe stato poco interessante. Questo ragazzo si esprime, basterebbe ascoltarlo.

     

    Cosa significa parlare attraverso la musica (o meglio, cosa la musica può dire che le parole non possono?)

    Non intendo parlare, qui, della musica come linguaggio più o meno universale; intendo dire che nel microcosmo di Michele, tutto centrato sulla musica, l'espandersi delle capacità espressive che gli deriva dallo studio costante dello strumento gli permette di rappresentare ciò che vive in modo sempre più preciso. Ora, molte delle persone che ha intorno condividono con lui la stessa competenza, quindi sono in grado di decifrare le cose che intende dire suonando. Se in generale, infatti, la musica non instaura con la realtà alcuna relazione necessaria e invariabile (una nota-un significato), sicuramente ne instaura una per Michele e per chi lo circonda, al punto che la sorella, Francesca, dialoga con lui a colpi di note scritte e stralci di pentagramma, e i due si intendono perfettamente. Lo stesso accade con l'insegnante di pianoforte. Parlando del lirismo come porta d'accesso all'anima, Kundera scrive che la musica "è in grado di cogliere i moti più segreti del mondo interiore, inaccessibili alla parola." Allora, forse, è proprio in virtù della relazione non necessaria con la realtà che la musica supera il linguaggio verbale: è codificata in note riconoscibili, e questo è uno dei suoi livelli d'ascolto, ma, quando viene emessa, l'ascoltatore è investito da un'onda, da una vibrazione che veicola un altro significato ancora, intraducibile a parole eppure vero. È a questo secondo livello che Michele emette l'amore, ma anche la paura, l'ansia, la solitudine.